Veronica Marcucci
Il contributo di Lorenzo Franciosini alla didattica della lingua spagnola in Italia: alcuni aspetti delle glosse ai Diálogos apacibles
Il contributo di Lorenzo Franciosini alla didattica della lingua spagnola in Italia è da inserire all'interno della tradizione dei manuali di conversazione sorti a partire dal XVI secolo sulla scia delle raccolte di colloquia per l'insegnamento del latino, come quelli di Erasmo, Familiarum colloquiorum formulae (1518) e di Vives, Linguae Latinae Exercitatio (1538). A partire dal XVI secolo, questa tradizione ha dato vita ai più vicini antecedenti dell'opera di Franciosini, tra cui il Vocabulaire di Berlainmont (1536 ca.), una delle prime raccolte di dialoghi nate per l'insegnamento di un codice linguistico d'uso pratico. Tali raccolte sono state un importante mezzo per la trasmissione delle lingue volgari e tra queste meritano una particolare attenzione i Pleasant and delightfull dialogues in Spanish and English (Londra, 1599) di John Minsheu (Gentilli e Mazzocchi 1996) e i Diálogos muy apacibles (Parigi, 1608) di César Oudin, opera dalla quale Franciosini, com'è noto, desume i testi delle conversazioni presenti nella sua raccolta (Martínez Egido 2010, 98). Il lavoro di Franciosini porta con sé una particolare valenza riscontrabile nella traduzione e nelle duecentoquattro glosse metalinguistiche che la accompagnano definendone un fine prettamente didattico. L'importanza dei commenti che accompagnano il testo dei dialoghi é stata messa in evidenza per la prima volta da Carmen Castillo Peña (2001) che per prima ha studiato alcuni aspetti rilevanti delle glosse. In esse Franciosini interviene non solo come mediatore tra la lingua originale e la lingua di arrivo, ma anche come intermediario della funzione educativa che caratterizza la finalità dei dialoghi. Come più avanti ha dimostrato José Joaquín Martínez Egido (2010), le glosse sembrano rappresentare un tratto distintivo dell'opera dell'autore toscano rispetto alle precedenti raccolte di Minsheu e Oudin, dove già apparivano degli interventi simili. È da notare, infatti, come i tre autori non si soffermino a commentare sempre gli stessi lessemi o le stesse espressioni, ma prediligano scelte diverse. Ciononostante, in alcuni casi è possibile riscontrare una vicinanza tra le glosse, in particolare in merito ad alcuni culturemi come olla podrida che viene preso in esame nelle tre raccolte. Franciosini nella sua glossa afferma
Si ha da notare che gli spagnoli ne' banchetti familiari dopo aver mangiate molte vivande usano cuocer in una pignatta diverse sorti di carni e la chiamano olla podrida. L'etimologia della quale abbasso si leggerà (Franciosini 1626, 67).
In merito al medesimo termine riscontriamo il commento di Oudin in cui si legge
Il faut entendre que olla en Espagnol se prend pour le pot ou marmite e aussi pour le potage e tout le reste qui se cuit dedans icelle. Et de la olla podrida se dit: pot pourry e non pas marmite pourrie, trop bien disons nous par mentonimie, la marmite est bonne, entendant ce qui est dedans, aussi la marmite est renversée quand il n'y a dequoy (Oudin 1625, 60).
Non manca, inoltre, una nota di riferimento nei Dialogues di Minsheu che definisce il sintagma in modo più sintentico: "a rotten or putrified pot. Also a botchpotch of many meats together" (Percivall e Minsheu 1623, 530).
In relazione alle tre raccolte è importante sottolineare anche la differenza quantitativa che già Martínez Egido (2010) aveva messo in evidenza tra le glosse inserite da Oudin (quarantatré) e quelle inserite da Franciosini (duecentoquattro secondo la mia ricerca); scarto che, come ho potuto riscontrare, emerge anche rispetto alla precedente opera di Minsheu, che raccoglie novantasette commenti[1].
Da un'attenta analisi sulla specifica metodologia messa in atto da Franciosini nell'inserimento delle glosse (in quanto interventi didattici), l'ispanista toscano sembra essere orientato alle esigenze dei discenti e altresì disponibile ad accettare l'intervento di un ipotetico lettore o di una sorta di mediatore, come emerge nella dedica al lettore e in altri passi dei Diálogos in cui sembra offrire spiegazioni che permettono di scegliere quale sia il termine che meglio si adatta alla specifica situazione comunicativa presa in esame nel dialogo. Nella dedica che apre i Diálogos, l'atteggiamento di Franciosini corrisponde a un caratteristico topos di captatio benevolentiae come possiamo evincere dal seguente estratto e che in qualche modo sembra anticipare quella che sarà la libertà lasciata al pubblico:
Sono tradotti e per conseguenza corrotti, e non sto punto in dubbio che nello spedale del tuo giudizio non abbiano a parere stroppiati. Fa tu altrettanto, ch'io ti prometto in quello che avrai posto penna di non metter la lingua, se non per lodarti e darti animo (Franciosini 1626, 6).
Tenendo presente questa affermazione è possibile comprendere come il suo intento fosse quello di dare spazio al fruitore e all'ipotetico insegnante che avrebbe deciso di utilizzare il suo manuale come mezzo ausiliario per le proprie lezioni. Le glosse sono il principale strumento che Franciosini utilizza per comunicare con il lettore e trasmettergli le diverse possibilità di traduzione di cui potrebbe disporre all'interno di una conversazione pratica nella lingua studiata.
Cercando di mettere in luce alcuni esempi del particolare approccio didattico che sembra caratterizzare i Diálogos apacibles, è utile un confronto con il patrimonio lessicografico dell'epoca che permette di verificare le intenzioni didattiche delle glosse di Franciosini. Ad esempio, un riscontro incrociato con il Tesoro de la lengua castellana o española di Covarrubias (1611) e con la prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612), e ovviamente col Vocabolario español-italiano dello stesso autore (1620) illumina non solo l'accezione semantica di molti vocaboli commentati nelle glosse traduttologiche, ma consente anche di elaborare il grado di intervento che i Diálogos richiedono da parte del suo fruitore. Una verifica di questo tipo permette, inoltre, di delineare l'approccio didattico adottato da Franciosini che in alcuni casi cerca di mediare tra il referente spagnolo e quello italiano, poiché quest'ultimo spesso non sembra essere il medesimo presente nella cultura spagnola.
Se proviamo a individuare una tassonomia specifica, non sempre é possibile attribuire a una glossa una sola categoria. Indicativamente, le glosse si dividono a seconda dell'aspetto linguistico che commentano maggiormente: glosse lessicali, annotazioni traduttologiche, unità fraseologiche, elementi culturali, cortesia verbale, glosse grammaticali e commenti di onomatopee. In particolare si analizzeranno le "annotazioni traduttologiche" che Castillo Peña classifica come
aquellas en que el traductor explica el significado de un término cuyo referente no pertenece al ámbito cultural de la lengua de llegada, y por ello es "intraducible", o aspectos sociológicos o culturales específicamente ligados a manifestaciones lingüísticas […] (Castillo Peña 2001, 117).
È anche possibile, a mio avviso, distinguere un gruppo di elementi culturali in cui ho voluto inserire solo i commenti che riguardano abitudini e usi tipici del contesto spagnolo o italiano che vengono confrontati dall'autore nella glossa, senza assimilarvi, però, tutti i realia rintracciabili nei Diálogos e definiti come "intraducibili". All'interno del gruppo degli elementi culturali si raccolgono interventi come quello in cui Franciosini interviene nel Diálogo primero, para levantarse, a seguito delle parole del servo Alonso che si esprime così: "Las cinco son dadas" (Franciosini 1626, 7). In merito l'autore spiega:
si noti che in spagnolo, in tedesco, francese, fiammingo e inglese si contano le ore di dodici in dodici sì che sempre alle dodici è mezzo dì e alle dodici è mezza notte, ciascuno dunque riduca il computo all'uso del suo paese (Franciosini 1626, 8).
Tralasciando gli elementi culturali, mi dedicherò all'analisi degli "intraducibili" che permettono di comprendere almeno in parte il metodo che accompagna alcune delle scelte traduttologiche di Franciosini che saranno maggiormente delineabili attraverso la descrizione di vari esempi tratti dal macrogruppo delle "annotazioni traduttologiche". All'interno di quest'ultima sezione si prenderanno, dunque, in esame termini "intraducibili" ovvero vocaboli la cui traduzione risulta sprovvista del medesimo referente nella lingua di arrivo.
Per quanto riguarda i termini privi di traduzione, osserviamo che nel Diálogo primero, para levantarse por la mañana si discute il vocabolo velarte. Franciosini (1626, 9-10) precisa così la sua estensione semantica: "panno de velarte è una sorte di panno, che da noi si chiamerebbe peluzzo di Siena, o panno lucchesino". Il sostantivo velarte rimane invariato nella traduzione in toscano e sembrerebbe dunque uno di quei casi in cui Franciosini si trova di fronte a un "intraducibile". Questa osservazione è, però, smentita poco più avanti dallo stesso autore che decide di tradurre il vocabolo con l'italiano "peluzzo" (Franciosini 1626, 12). Nel suo Vocabolario si riscontra velarte: "panno di lana fina" (Franciosini 1620), mentre Covarrubias nel Tesoro ne definisce le origini affermando:
especie de paño fino y estimado antes que se usasen los limistes y veinticuatrenos de Segovia. Debió tomar el nombre de su primer obrador, como el paño de Gumiel; si no es que se haya dicho velarte quasi VELLARTE, porque se escogía para él la primera suerte y más fina de lo que del vellón se aparta (Covarrubias 1611).
Nel primo caso il termine rimane invariato, mentre nel secondo, dopo averne esplicitato il significato nella glossa, é tradotto con un corrispondete italiano, pur tradendo in parte il significato culturale appartenente a un contesto prettamente ispanico. Ma per quale ragione Franciosini opta per due diverse traduzioni? Anche nella traduzione del Quijote del 1622, Franciosini traduce velarte all'interno dell'espressione "sayo de velarte" con l'italiano "saio di panno finissimo" (Franciosini 1622, 1). In merito a questa differenza, è da tenere presente il fine che caratterizza le due opere, già deducibile dalle parole con cui definisce il suo proposito nella dedica "ai curiosi lettori" che anticipa la sua traduzione del Quijote:
Il principale intento che ho avuto (Sign. Lettore) in questa mia traduzione non è stat'altro che di lasciare intendere e per conseguirlo facilmente mi son' alle volte allontanato dal senso letterale spagnolo per avvicinami più al corrente italiano (Fraciosini 1622).
Non è da trascurare il fatto che anche all'interno del Don Chisciotte Franciosini inserisca delle glosse ai margini per aiutare il lettore nella comprensione di alcuni termini specifici della cultura spagnola (Demattè 2007, 82-83). Questa caratteristica non è però tanto estesa come nei Diálogos, in cui il fine didattico prende il sopravvento e spinge l'autore a offrire molteplici spiegazioni al lettore/studente perché possa conoscere le numerose possibilità di traduzione che diversi termini sembrano offrire. La scelta di riservare al sostantivo velarte un doppio trattamento dimostra come nei Diálogos il fine didattico sia quello preponderante poichè, solo dopo aver offerto una spiegazione nella glossa, Franciosini si sente libero di adattare la traduzione al contesto d'uso italiano.
Prendendo in analisi un altro esempio della categoria degli "intraducibili", sarà mio obiettivo dimostrare come le scelte di Franciosini non siano del tutto casuali, ma spesso influenzate dal contesto in cui appare il termine commentato nella glossa. Questo succede, ad esempio, per quanto riguarda il vocabolo villa che crea non pochi problemi all'autore nel momento della traduzione ed é preso in esame in ben due glosse che accompagnano il testo dei Diálogos. Alla fine del Diálogo Quinto, entre unos pages, troviamo la traduzione del modo di dire "quien ruin es en su villa, ruin es en Sevilla" trasposto con l'italiano "chi è cattivo nella sua villa, è cattivo anco in Siviglia" (Franciosini 1626, 138). Franciosini sente la necessità di intervenire con una postilla nella quale afferma
villa, in spagnolo non vuol dire l'istesso che villa in toscano: ma una terra o castello grosso, come sarebbe in Toscana Prato, Empoli, Castelfiorentino ecc., ma io ho detto villa per la consonanza con Siviglia (Franciosini 1626, 138).
L'atteggiamento dell'autore, orientato a mantenere il medesimo suono presente nell'espressione spagnola, risulta prevalere sulla ricerca di una corretta e comprensibile traduzione orientata al lettore italiano dal momento che sceglie di privilegiare la trasposizione del medesimo segno linguistico. Ciononostante, è da sottolineare la decisione di inserire una spiegazione esposta per esteso nella nota che sembra chiarire ogni dubbio che avrebbe potuto pervadere il fruitore di fronte a una traduzione che non sembra rispecchiare il vero significato che lo spagnolo villa possedeva in italiano. Infatti, secondo quanto afferma il Vocabolario degli Accademici della Crusca il termine "villa" in italiano significava: "posessione con casa e 'l contado stesso" (1612). Più avanti, alla fine del Dialogo Octavo, entre dos amigos: el uno llamado Poligloto y el otro Philoxeno, sebbene Franciosini confermi quanto affermato nel commento una cinquantina di pagine prima, traducendo lo spagnolo villa con l'italiano "terra", si smentisce subito dopo mantenendo il termine villa nella trasposizione del modo di dire "villa por villa, Valladolid en Castilla, ciudad por ciudad Lisboa en Portugal", tradotto con l'italiano "villa per villa, Vagliadolid in Castiglia, città per città Lisbona in Portogallo" (Franciosini 1626, 192). Anche in questo caso la scelta traduttiva dell'autore sembra essere orientata dall'intenzione di mantenere l'omofonia del proverbio spagnolo che non potrebbe altresì essere riportata in italiano; tuttavia, la glossa chiarisce il significato del referente:
qui s'avvertisca che quello che in Spagna si chiama villa non suona l'istesso che in toscano villa, cioé una casa di campagna dove si sta per ricreazione, ma una terra che fa molti fuochi e si distingue villa da aldea […] (Franciosini 1626, 192-193).
Una certa incertezza nelle scelte traduttive sembra caratterizzare Franciosini anche in altri passi dei Diálogos in cui rasenta la contraddizione. Di particolare rilievo in questo senso, sono quei termini che l'autore definisce "equivoci" (Franciosini 1626, 9) e pertanto commenta in una glossa esplicativa. In ventidue glosse delle duecentoquattro che accompagnano i Diálogos, emergono dei casi in cui l'autore sottolinea la polisemia presente in lingua spagnola e decide di optare per una traduzione fedele alla plurivalenza dello spagnolo che potrebbe risultare incomprensibile per il lettore toscano. Questa è la ragione che spinge Franciosini a intervenire annotando la traduzione con una spiegazione del duplice significato del vocabolo spesso non riscontrabile nella lingua di arrivo, come succede in merito al sostantivo nube. Quest'ultimo è commentato in una glossa al principio del Diálogo primero, para levantarse por la mañana in cui si legge "in italiano non si può alludere col nome equivoco nube come in spagnolo, poichè quello che il castigliano chiama nube, nell'occhio, in toscano si dice maglia" (Franciosini 1626, 9). Secondo quanto si può riscontrare nel Vocabolario español-italiano, nube sembrava corrispondere a due diversi termini in italiano tra cui "nugula, nube" e nube del ojo "una maglia, cioè una certa macchia o nugoletta" (Franciosini 1620), come anche testimonia Covarrubias (1611). Ciononostante nel Vocabolario degli Accademici della Crusca non è possibile riscontrare le medesime accezioni, bensì soltanto quella corrispondente a "nuvola" (Crusca 1612). Franciosini nel tradurre rimane fedele allo spagnolo trasponendo "nubes" con l'italiano "nugole" (Franciosini 1626, 8), corrispondente solo al primo significato spagnolo dal momento che "nugola" in italiano non fa parte del campo semantico anatomico. In questo caso, come in altri, la glossa esemplifica il fine didattico dell'opera in cui l'autore, per quanto riguarda la traduzione, decide di rimanere fedele al segno linguistico spagnolo cercando poi di far luce sulle differenze linguistiche che sarebbe stato utile conoscere.
In altri casi, Franciosini commenta esponendo in prima battuta i diversi significati del termine, ma decide in seguito di tradurlo nel modo più appropriato al contesto d'uso in cui compare allontanandosi dall'elemento grafico spagnolo. Per quanto riguarda questa seconda metodologia messa in atto rispetto ai termini polisemici, si prenderá in esame un caso in cui Franciosini definisce il significato di un termine nella glossa, decidendo però di ricorrere a una traduzione più interpretativa, influenzata dal contesto d'uso diverso in cui il termine appare e non del tutto corrispondente a quanto espresso nella postilla. Mi sto riferendo qui al sostantivo lonja che chiarisce quest'aspetto ed è commentato per ben tre volte all'interno dei Diálogos; la sua valenza polisemica può essere compresa a pieno grazie alla presenza delle glosse affiancate alla traduzione.
Il sostantivo è preso in esame innanzitutto all'inizio del Diálogo segundo, en el cual se trata de comprar y vender joyas, in cui Franciosini specifica glossando che, nelle parole della Sig.ra Margherita, lonja indica "la strada dove stanno le botteghe e i mercanti che vendono panni, drappi e altre cose da vestirsi che comunemente da noi si chiamano fondachi" (Franciosini 1626, 33). Il vocabolo è tradotto con l'italiano "fondaco", voce attestata dal Vocabolario degli Accademici della Crusca: "bottega, dove si vendono, a ritaglio panni, e drappi" (Crusca 1612). La traduzione scelta da Franciosini sembra adattarsi al contesto al quale la Sig.ra Margherita fa riferimento, sebbene nel Vocabolario español-italiano Franciosini non includa quest'ultima accezione. Vi si attesta soltanto lonja de mercaderes, "la loggia dove i mercanti negoziano e passeggiano. In Fiorenza si chiama mercato nuovo" (Franciosini 1620). Il termine spagnolo lonja sembrerebbe corrispondere a due referenti in italiano: "la strada dove stanno le botteghe" e "fondaco".
Franciosini commenta di nuovo il vocabolo esponendone il significato anche alla fine del Diálogo segundo, dove il sostantivo è definito in modo quasi del tutto identico alla prima glossa in cui era stato commentato:
per lonja si intende in italiano una bottega o luogo dove si vendino cose di seta, che comunemente si chiama fondaco, dove si vendano panni, drappi, cioè tele di seta, ciambellotti e altre materie da vestirsi" (Franciosini 1626, 50).
Il sostantivo sembra rimandare all'idea più moderna che abbiamo di negozio, diversa da quella che si può riscontrare nella prossima glossa presa in esame. Nell'incipit del Diálogo sexto, qué pasó…, l'autore traspone il vocabolo con l'italiano "mercato" (Franciosini 1626, 139), scelta che non corrisponde precisamente a quanto espresso nel Vocabolario, ma sembra avvicinarsi di più a quanto enunciato nella prima glossa (Franciosini 1626, 33). Il termine risulta, quindi, avere una doppia valenza semantica: nei primi due casi il sostantivo è tradotto con l'italiano "fondaco" e non con "mercato", come nel terzo esempio. L'ultima glossa in cui Franciosini annota lo spagnolo lonja riporta la seguente spiegazione: "lonja s'intende in questo luogo per quella loggia o ridotto particolare dove si ragunano i mercanti a negotiare" (Franciosini 1626, 139). In relazione a questa polisemia, sembra intervenire un procedimento metonimico secondo il quale il termine lonja indica il mercato in qualità di iperonimo ovvero "la loggia dove i mercanti negoziano" (Franciosini 1620) e il "fondaco", che ne é iponimo. È probabilmente quest'ultima relazione che spinge l'autore ad assimilare i due termini e a scegliere traduzioni diverse a seconda del contesto d'uso in cui si trova a tradurre.
Attraverso l'analisi del termine lonja è possibile comprendere come le opzioni offerte da Franciosini, nelle sue spiegazioni glossate, avessero il fine di aiutare il fruitore a comprendere le diverse interpretazioni che l'italiano avrebbe potuto dare a un solo termine in spagnolo, che oggi definiremmo polisemico. Infatti, la scelta di Franciosini sembra essere influenzata dal contesto d'uso in cui appare il sostantivo lonja che nei primi due casi è probabilmente utilizzato dalla Sig.ra Margherita per riferirsi a dei negozi veri e propri dove decide di andare per comprare dei tessuti e degli utensili per la cucina. Nel terzo caso lonja si riferisce, invece, al luogo dove due mercanti si incontrano come si evince dal testo: "Entre dos amigos ingleses y dos españoles que se juntaron en la lonja de Londres" (Franciosini 1626, 139).
Attraverso l'analisi di questi due esempi, quali nubes e lonja (tratti dal gruppo dei termini polisemici), è possibile evidenziare i due metodi che Franciosini mette in atto rispetto a questa categoria, all'interno della quale però non è possibile evidenziare la preponderanza di uno o dell'altro dal momento che il numero di glosse corrispondenti ai due approcci è quasi coincidente.
Ad ogni modo, nel corso dell'opera, l'autore lascia ampio spazio alla scelta del lettore, probabilmente perché i Diálogos apacibles nascevano con un fine didattico comunicativo e come base per poter comprendere alcuni aspetti linguistici dello spagnolo e poterli in seguito adoperare liberamente in contesti d'uso colloquiali. Quest'ultimo obiettivo è dimostrabile con l'analisi di un'ulteriore glossa in cui l'approccio è dichiaratamente diverso: in una postilla del Diálogo tercero, de un convite, Franciosini sembra chiamare in causa l'intervento di un mediatore, quale un docente o un esperto della lingua spagnola che avrebbe potuto esprimersi per spiegare alcuni aspetti annotati nella glossa. Questo tipo di operazione si riscontra quando il maestro toscano prende la parola in un punto della conversazione tra Gusmano e gli altri commensali (protagonisti del terzo dialogo) a proposito di alcuni termini specifici della gastronomia spagnola, in particolare "guisados, estos torreznos lampreados, aquel adobado, el carnero verde, las albóndigas […]" (Franciosini 1626, 70-71). A tale proposito, Franciosini afferma "il nome di queste vivande ciascheduno l'accomodi secondo l'uso della sua cucina" (Franciosini 1626, 71). In questo caso ammette che si possano scegliere altre possibili traduzioni rispetto a quella che lui stesso predilige, probabilmente riferendosi ai differenti contesti d'uso e alle varietà diastratiche che avrebbero potuto influenzare la trasposizione in italiano. Ciononostante, proprio in merito a uno di questi vocaboli, sembra allontanarsi dal fine didattico dell'opera nel tentativo di generalizzare la sua traduzione perché i discenti italiani potessero comprenderla, traducendo, ad esempio, torreznos con l'italiano "prosciutto fritto" (Franciosini 1626, 71). Questa traduzione è smentita dal Tesoro di Covarrubias in cui la voce torrezno viene definita come "el pedazo de la lunada que asamos, y dijose a torrendo, porque se tuesta y se asa en el fuego, a diferencia de lo demás del tocino que se guisa o se cuece en la olla" (Covarrubias 1611). In riferimento a quest'ultimo esempio, dunque, l'approccio di Franciosini sembra lasciare maggiore libertà al lettore come espresso nella glossa in cui aveva anticipato che ognuno avrebbe potuto accomodare i nomi delle vivande secondo la propria cucina, scelta che evidentemente orienta anche la sua traduzione.
All'interno di un'ulteriore tipologia di interventi, che si potrebbero catalogare come lessicali, sarà possibile analizzare le differenze tra alcuni referenti spagnoli e italiani che Franciosini tenta di mettere in luce in glosse come quella relativa al vocabolo palacio presente nel Diálogo primero, para levantarse por la mañana, in cui l'autore afferma: "palacio. S'intende assolutamente in spagnolo, come in italiano, la corte del re o del principe di quel paese" (Franciosini 1626, 24). Questa definizione risulta pressoché identica a quella presente nel suo Vocabolario: "palazzo, per antonomasia, sempre si intende il luogo dove abita il Principe, e dove si tiene corte" (Franciosini 1620). Probabilmente, all'interno dei Diálogos il maestro sentì il bisogno di introdurre una glossa in merito a questo vocabolo dal momento che il sostantivo spagnolo palacio avrebbe avuto una corrispondenza più precisa con l'italiano "corte", come attesta la prima edizione del Dizionario degli Accademici della Crusca: corte "palazzo de' Principi e la famiglia stessa del Principe" (Crusca 1612). In spagnolo, il termine palacio indicava per l'esattezza la "casa de Emperador o de Rey" (Covarrubias, 1611). La traduzione resta fedele al significante spagnolo, scegliendo evidentemente un falso amigo di palacio, "palazzo", e allontanandosi da quanto espresso nella glossa che sembra avere dunque la funzione di stimolare il lettore a risolvere il problema incontrato nella traduzione. Rimane, comunque, una certa incertezza riguardo la scelta di Franciosini dato che, nonostante la definizione esatta che ne offre nel suo Vocabolario, decide di optare per una traduzione più vicina a livello fonico. Potremmo ipotizzare che quest'ultima metodologia sia stata messa in atto per aiutare il lettore a ricordare più facilmente il significato del termine spagnolo o che negli anni che separano la pubblicazione del Vocabolario español-italiano e dei Diálogos il termine palacio avesse acquisito un significato più generico.
In altri momenti, Franciosini decide di soffermarsi sulla motivazione di una traduzione più interpretativa che letterale, come accade per il termine borracho, la cui glossa di riferimento afferma "non ho voluto imitare in ogni parola il senso letterale perché in italiano avrebbe manco grazia" (Franciosini 1626, 22). In questo caso, Franciosini sembra intervenire per spiegare la motivazione che lo ha mosso a mitigare la traduzione italiana per non riportare un'espressione che non "avrebbe avuto grazia" nella lingua di arrivo. Secondo alcuni, questo particolare approccio adottato dall'autore e messo in evidenza soprattutto in merito alla sua traduzione del Quijote (Pini 2016), potrebbe mostrare una certa forma di "autocensura". Tuttavia, è necessario tenere presente che la scelta di Franciosini avrebbe potuto essere influenzata da una norma comunicativa che lo avrebbe spinto a mitigare la traduzione per evitare di perdere la decenza, come succede anche in altri casi dei Diálogos in cui lo stesso autore ammette di aver mitigato la traduzione (cfr. Franciosini 1626, 115).
Gli aspetti da mettere in evidenza per comprendere l'approccio traduttologico e didattico adottato da Franciosini sarebbero molti altri e non solo riscontrabili nelle scelte di traduzione che emergono nelle conversazioni tra i personaggi, bensì anche nel Nomenclator che accompagna la prima edizione dei Diálogos. In questa sezione dell'opera si trovano, infatti, delle glosse simili a quelle presenti nei dialoghi, come succede ad esempio in relazione alla voce potro, che Franciosini spiega così: "la fune; ma in spagnolo è differente strumento che a noi è in uso in quel cambio il dar tratti di corda" (Franciosini 1626, 211-212). Un commento dell'autore rispetto al vocabolo potro è attestato anche nei Dichos Políticos y morales, che accompagnano i Diálogos solo a partire dall'edizione del 1638, in cui il medesimo termine si traduce con l'italiano "corda" (Franciosini 1638, 131). In questa sede, Franciosini afferma che "per corda s'intende quella, con la quale si tormentano i rei". Il supplizio a cui si fa riferimento era molto in voga tra il XVI e il XVII secolo, come testimoniato dal Tesoro in cui si legge "potro. Cierto instrumento de madera para dar tormento, del nombre latino equuleus, que es como diminutivo de equus, y de allí tomó nombre de potro" (Covarrubias 1611). Confrontando la definizione di Franciosini, presente nel Nomenclator, e quella offerta da Covarrubias è possibile comprendere come l'autore toscano cerchi di offrire un chiarimento al lettore, orientato a far recepire alcune differenze culturali presenti tra il contesto spagnolo e quello italiano. Il supplizio in questione sembra, infatti, essere leggermente diverso nei due paesi poiché, secondo la descrizione offerta da Franciosini, in Italia l'allungamento del corpo del reo era probabilmente messo in atto con l'aiuto di corde che in Spagna erano rimpiazzate da uno speciale strumento di legno nato con questo stesso fine come descritto da Covarrubias.
Alla luce di questi esigui esempi, si può dedurre come i tentativi di avvicinare l'ipotetico lettore alla lingua e alla cultura spagnola pervadono l'intera raccolta dei Diálogos apacibles di Franciosini, tanto nel corpo del testo, quanto nel Nomenclator e nei Dichos Políticos y morales che lo accompagnano. In questo studio, ho voluto sottolineare l'importanza dei numerosi commenti apportati dall'autore che denotano l'orientamento didattico della sua intera produzione che, tra il 1620 e il 1627, permise all'autore di diventare uno dei più influenti pedagoghi e ispanisti del XVII secolo in Italia. Ciononostante, come si può verificare dagli esempi presi in esame, l'atteggiamento di Franciosini non sembra seguire sempre lo stesso orientamento, dimostrandosi a volte più incline alle necessità dei discenti o dei professori, e altre maggiormente interessato a rendere una traduzione più vicina al senso corrente italiano trascurando il significato letterale spagnolo. È quindi possibile mettere in evidenza, come ho tentato di dimostrare, il grado di intervento dell'autore toscano nelle glosse che affiancano i Diálogos: in primo luogo, si discosta dalla traduzione da cui prende le mosse dato che l'opera del francese Oudin non presentava la medesima attenzione per le glosse. In secondo luogo, gli interventi di Franciosini sembrano spesso lasciare spazio al lettore con il fine di offrire gli strumenti necessari a uno studio pratico della lingua spagnola, fine che, come si sa, caratterizzava questa tipologia di raccolte. L'autore toscano sembra appoggiarsi alle glosse per offrire al lettore degli strumenti che gli permettano di maneggiare il più liberamente possibile la lingua studiata e fare scelte personali nell'uso di alcuni termini. Nonostante gli interventi non seguano sempre un univoco orientamento, il filo rosso che sembra unirli potrebbe essere individuato nel tentativo di dare spazio al lettore, fornendogli gli strumenti necessari per utilizzare colloquialmente lo spagnolo, ragione che, in alcuni casi, allontana Franciosini da scelte linguistiche uniformi nella loro metodologia e lo spinge a dare la precedenza alla spiegazione di esempi specifici presi in esame in determinati contesti d'uso.
La mancanza di un metodo unitario nelle scelte adottate nell'opera di Franciosini lascia aperta la strada per comprendere a pieno quali veramente siano stati i fattori che hanno influenzato le scelte traduttologiche e didattiche del maestro che tanto si dedicò allo studio e alla diffusione della lingua spagnola in Italia.
Referencias bibliográficas
Fuentes primarias
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[1] Il numero delle glosse presenti nei Pleasant and delightfull dialogues… di John Minsheu é stato riscontrato su A dictionary in spanish and English first published into the English tongue by Richard Percivale… now enlarged and amplified by John Minsheu…, 1623. London: John Haviland for William Aspley.